Cannabis Sativa
La Cannabis Sativa è una pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Cannabinacee, molto popolare come droga ricreativa per gli effetti psicoattivi che induce, correlati alla presenza di composti biologicamente attivi chiamati cannabinoidi.
La cannabis è importante anche per il suo utilizzo a fini terapeutici. In entrambi i casi, vengono utilizzate le foglie ed i fiori, opportunamente essiccati e sminuzzati.
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Cannabinoidi
Tutte le varietà di Cannabis contengono, in concentrazioni variabili, una serie di sostanze stupefacenti psicoattive conosciute con il nome di cannabinoidi.
I cannabinoidi sono dei princìpi attivi di natura sesquiterpenica, prodotti da una specie molto discussa per l'uso voluttuario che ne viene fatto, la cannabis. I cannabbinoidi godono di un elevato interesse farmaceutico, poiché presentano proprietà narcotiche e sedative; inoltre, stimolano la funzionalità gastro-epatica - aumentando il senso della fame - e sono dei buoni antispasmogeni.
Tra questi, la maggior parte degli effetti centrali delle varie preparazioni derivate dalla Cannabis viene attribuita al principale componente psicoattivo del fumo di marijuana, il Δ9-THC (Δ9-tetra-idrocannabinolo), che interagisce con specifiche proteine localizzate sulle membrane cellulari, dette recettori per i cannabinoidi.
I recettori per i cannabinoidi sono dei mediatori fisiologici di alcune sostanze endogene, chiamate endocannabinoidi. Alcuni test biochimici, fisiologici e farmacologici hanno messo in evidenza che esistono diversi sottogruppi di recettori dei cannabinoidi, chiamati recettori CB1 e CB2. Nello specifico si è visto che i recettori CB1 sono maggiormente espressi in aree del cervello che controllano le funzioni cognitive, come l'ippocampo e la corteccia frontale, e in altre regioni cerebrali tra cui i gangli della base ed il cervelletto.
Un dato importante riguarda la presenza di questi recettori nel cervello fetale e anche nel periodo post-natale, da cui si deduce che i recettori CB1 sono coinvolti in maniera importante nello sviluppo del cervello. E' stato dimostrato, attraverso studi tossicologici, che in modelli animali l'esposizione al principio attivo della marijuana, il Δ9-THC, altera il differenziamento e lo sviluppo del cervello, così come la maturazione di diversi sistemi neurotrasmettitoriali. I risultati osservati negli animali, trovano riscontro anche nell'uomo.
L'importante assunzione di cannabinoidi durante la gravidanza, determinerà quindi deficit dell'apprendimento, problemi della socializzazione e turbe comportamentali nel nascituro, che si concretizzeranno in età scolare
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Effetti psicoattivi della marijuana
Farmacocinetica
Il Δ9-THC, grazie alla sua lipofilia, viene assorbito anche per via orale; tuttavia, la marijuana fumata induce degli effetti maggiori rispetto all'assunzione per os. Attraverso il fumo, infatti, i composti psicoattivi diventano volatili e vengono perciò assorbiti velocemente provocando un rapido raggiungimento del picco plasmatico.
Il Δ9-THC, proprio per la sua lipofilia, una volta assunto attraversa facilmente le membrane biologiche e si distribuisce nei diversi distretti dell'organismo, in particolare nel fegato, nei reni e nei polmoni. Non solo, il componente psicoattivo del fumo di marijuana, il Δ9-THC, essendo lipofilo, è anche in grado di attraversare la barriera ematoencefalica, andando perciò ad accumularsi nel sistema nervoso centrale con la caratteristica di poter creare danni cerebrali permanenti.
Farmacodinamica
L'interazione dei cannabinoidi e del Δ9-THC con i recettori CB1 e CB2 induce effetti diretti su diversi organi, tra cui il sistema immunitario, il fegato ed il sistema riproduttivo. E' stato ampiamente dimostrato che gli effetti biologici di tali sostanze coinvolgono il sistema nervoso centrale e che la loro azione varia in base alla dose, al tipo di somministrazione ma anche in base alla variabilità individuale.
Per quanto riguarda gli effetti della marijuana, essi sono correlati inizialmente ad uno stato di iper-reattività, leggerezza ed euforia, la cui durata è di circa 15 minuti. A questo periodo segue uno stato di piacevole tranquillità. Si possono anche manifestare alterazioni dell'umore, della percezione del tempo, dello spazio ma anche della propria dimensione corporea.
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Basse dosi di marijuana inducono un'alternanza di effetti euforici e depressivi, mentre un uso cronico e in quantità rilevanti sviluppa maggiormente effetti depressivi, possibili reazioni di panico, stati d'ansia, paura e perdita del "self-control".
Tra chi consuma abitualmente marijuana si può anche instaurare la cosiddetta sindrome amotivazionale, i cui segni tipici sono caratterizzati da apatia, indifferenza affettiva, mancanza di interesse verso i rapporti sociali e verso il lavoro. Interrompendo l'assunzione di marijuana, la sindrome tende a migliorare.
Sulla base di una serie di studi condotti, è stato dimostrato come gli adolescenti che utilizzano marijuana presentino deficit della memoria a lungo termine e della capacità di eseguire determinati compiti psicomotori. Tali effetti influenzano particolarmente la memoria di lavoro, la concentrazione e la capacità di integrare informazioni complesse. Per quanto non sia ancora stato completamente chiarito il meccanismo d'azione responsabile di tali effetti, una delle ipotesi maggiormente accreditate è che siano i recettori CB1, presenti in ippocampo e corteccia cerebrale, a mediare tali effetti. Come accennato, infatti, tali aree cerebrali sono costituite da sistemi neuronali fondamentali per lo sviluppo dei processi cognitivi.
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